Là dove ‘l sì suona

Il buon Dante sembra dare un’indicazione di voto per il referendum del 12 e 13 giugno 2011… sarebbe solo l’ennesimo illustre testimonial di una campagna referendaria che in alcuni casi raggiunge punte di vero umorismo, ma che sembra decisamente sbilanciata. Se sono due le possibili espressioni di voto, o sì o no, per quale motivo i muri delle città e le bacheche di facebook o dei blog più diversi sono tappezzati di simboli che suggeriscono il “Sì”? Dove sono finiti i sostenitori del no?

Ecco, forse da qui possiamo partire per incamminarci su di un ragionamento che considera più in profondità la necessità della partecipazione consapevole ad un atto democratico (tra i pochi che ci rimangono).

La natura di questo blog ci induce a citare quella pentola sempre piena, sobbollente su un basso fuoco, che è l’epitaffio pronunciato da Pericle in occasione del funerale pubblico per i primi caduti della Guerra del Peloponneso. Tucidide, storico contemporaneo, riporta un’orazione che, se non fedele alla lettera lo è al concetto generale: Pericle si impegna a sottolineare i pregi di una vita ateniese, rispetto ai limiti della politica di Sparta o, in generale, delle altre città greche. Il discorso è spesso citato come esempio massimo di elogio della democrazia, in realtà la democrazia che viene esaltata è quella ateniese, del V sec. a.C., dunque lontana in molti punti da ciò che noi oggi definiamo sistema democratico. Cionondimeno è importante fare riferimento all’impostazione generale del discorso che, nei primi paragrafi, si esprime così:

Questo paese, che essi [gli antenati] sempre abitarono , libero lo trasmisero ai discendenti che li seguirono fino al nostro tempo, e fu merito del loro valore. Se però degni di lode sono essi, ancora di più lo sono i padri nostri, che, oltre a quello che avevano ereditato, conquistarono il dominio che possediamo, quant’esso è grande, e a prezzo di gravi sacrifici a noi d’oggi lo lasciarono

Pericle fa riferimento al passato, consapevole del fatto che, ciò che Atene è nel 431/430 a.C., è il risultato delle conquiste ottenute soprattutto nelle lotte contro forme di tirannia, da cui Atene non è immune (basti pensare al periodo di Pisistrato & figli).

E in Italia? Oggi discutiamo su un referendum; uno strumento democratico dal nome latino, ma il cui funzionamento è chiaro a molti proprio perché nel nostro Paese il referendum è legato a decisioni epocali: scelta tra monarchia e repubblica, approvazione della legge che introduceva il divorzio, presa di posizione nei confronti della legge che regolava l’interruzione di gravidanza, ecc. ecc.

Gli Italiani sanno che è esistita una lunga stagione nella vita del Paese in cui sono stati chiamati ad esprimere la propria opinione su questioni fondamentali.

Il 2 giugno del 1946 il referendum non era abrogativo (oltre a questo, solo altri 4) e allora riguardava la scelta tra monarchia e repubblica; proprio in quell’occasione il suffragio fu universale, per la prima volta nella storia d’Italia e i votanti furono 24.947.187, pari all’89% degli aventi diritto al voto.

I risultati ufficiali del referendum istituzionale furono: repubblica voti 12.718.641, pari al 54,3%; monarchia voti 10.718.502, pari al 45,7%. Tali percentuali fanno capire che l’argomento fu molto dibattuto, la scelta repubblicana assolutamente non scontata. Allora torniamo a Pericle e leggiamo quale altro pregio egli attribuisce alla democrazia della propria città:

Noi stessi o prendiamo decisioni o esaminiamo con cura gli eventi: convinti che non sono le discussioni che danneggiano le azioni, ma il non attingere le necessarie cognizioni per mezzo della discussione prima di venire all’esecuzione di ciò che si deve fare.

La questione della forma di governo ateniese ha tenuto banco tra gli autori antichi (e ancora oggi è argomento di saggi, conferenze, studi e analisi di ogni tipo), i quali avevano la chiara percezione dei lati positivi e di quelli negativi. Anzi, la discussione riguardava in generale le forme di governo (politeiai) delle città greche: nessuna poteva dirsi immune da problemi, ma in ogni circostanza gli uomini si sforzavano di arrivare alla condizione migliore.

Questo perché, come osserva accortamente Aristotele, l’uomo è un animale politico.

Cioè l’uomo non può fare a meno di vivere in società e quindi di trovare il modo migliore per gestire tale vita di comunità attraverso diverse forme di legislazione. Nel considerare il governo democratico, Aristotele (Politica VI 2) non risparmia critiche anche feroci e suggerisce una riflessione profonda sugli strumenti offerti al popolo in una polis democratica, perché egli sa che:

nelle democrazie i poveri siano più potenti dei ricchi perché sono di più e la decisione della maggioranza è sovrana.

Ecco, sicuramente la distanza fra la democrazia in cui vive Aristotele e la nostra odierna è grande e incolmabile. Sicuramente ad Atene nel IV sec. a.C. il suffragio era ben lungi dall’essere universale, le differenze di classe, di censo, l’alfabetizzazione, tutti questi elementi contribuivano a restringere sempre di più la capacità consultiva del popolo. Tuttavia rimaneva saldo questo principio: la decisione della maggioranza. Mettendo dunque insieme la voglia di discutere dei problemi della polis e la consapevolezza che ciò che viene deciso, dopo la discussione, ha un effettivo valore nella politica cittadina, otteniamo una forma di governo che dava agli Ateniesi l’illusione della libertà.

Anche Erodoto (Storie, III 80), il padre della riflessione storica ed etnografica, aveva questa consapevolezza:

Invece il regime del popolo ha, per prima cosa, il nome più bello di tutti, uguaglianza di diritti; in secondo luogo non presenta alcuno dei mali della monarchia; esercita le cariche a sorte, rende conto del potere esercitato, sottopone alla comunità ogni deliberazione […]

Cambiamo scenario e torniamo all’Italia dell’era moderna. Dopo il referendum del 1946 molti altri sono seguiti; se leggiamo le statistiche, in ogni occasione referendaria il popolo italiano ha risposto al “richiamo democratico”, proprio con la stessa, antica, consapevolezza di essere chiamato a esercitare la democrazia che aveva scelto. Esercitare un diritto che diventa dovere civico; partecipazione alla vita politica, perché l’uomo è stato e sempre sarà un animale politico.

Così scorriamo le diverse consultazioni: 1974, 1978, 1981, 1985, 1987 … Arriviamo al 1990 e qui il meccanismo sembra incepparsi. Per la prima volta non viene raggiunto il quorum, dunque non si raggiunge una partecipazione sufficiente a rendere valida la consultazione.
Cosa è successo?

Il referendum riguarda la disciplina della caccia e l’uso dei pesticidi. E’ promosso dai Verdi e acquista il sapore della battaglia donchisciottesca, di una lotta contro la modernità. Gli Italiani si tirano indietro, decidono che il meccanismo democratico in questo caso non può funzionare. Però, scelgono un modo curioso: non votano contro la abrogazione, semplicemente decidono di non andare a votare, un nulla di fatto, una rinuncia delle proprie prerogative democratiche.

E’ un segnale, di tempi che cambiano, forse: due anni dopo comincia la stagione di Tangentopoli e gli Italiani si scoprono corrotti e corruttori, si scoprono tarli che minano le fondamenta stesse della Repubblica.

Eppure le consultazioni referendarie continuano: 1991, 1993, 1995 … poi, di nuovo, si ferma l’ingranaggio e a questo punto la macchina non viene più riparata.

Il 15 giugno del 1997 si inaugura una nuova stagione nelle consultazioni referendarie italiane: il quorum non viene raggiunto in quel caso e non sarà mai più raggiunto (1999, 2000, 2003, 2005, 2009). Senza distinzioni di colori politici, senza distinzioni di argomenti (si va dalla caccia alla procreazione assistita, dai diritti dei lavoratori alla carriera dei magistrati)… gli Italiani, semplicemente, rinunciano.

Rinunciano alle proprie prerogative democratiche; buttano via le battaglie di una vita, fatte da antenati, spesso ancora vivi, per garantire al Paese un regime di comprensione e di condivisione. Rinunciano alle conquiste che ancora condizionano la loro vita e, senza batter ciglio, cominciano a non partecipare più alla vita politica del proprio Paese.

Sarebbe interessante verificare l’andamento delle astensioni nelle consultazioni politiche, sia locali che nazionali; sappiamo che negli ultimi dieci anni si è abbassata notevolmente l’affluenza alle urne, soprattutto da parte dei giovani, i cuccioli politici di questo Paese.

… Anche Atene ha attraversato la stagione del “disamore” e il primo ad avvertirla è stato Demostene (IV Filippica), infuocato oratore che cercava disperatamente di svegliare le coscienze dei concittadini di fronte alla minaccia di Filippo II, re macedone:

perché ciascuno di voi, o Ateniesi, comprenda bene questo, che
l’inerzia e l’indolenza quotidiana, tanto nella vita degli individui quanto in quella delle città, non si rende
percepibile subito, ogni volta che si commette qualche negligenza, ma diventa palese quando le vicende
giungono al loro epilogo.
Demostene comprende che il vero pericolo per Atene è l’inerzia dei suoi cittadini, non una decisione ma la non decisione.
Torniamo dunque alle consultazioni referendarie che non hanno raggiunto il quorum: in quelle occasioni la popolazione è stata invitata a votare per l’abrogazione della legge oppure a non andare a votare.

Questo il messaggio: non andare a votare equivale a votare no.
Ebbene non andare a votare equivale a svendere un diritto fondamentale di cittadini, rinunciare come si rinuncia al numero alle Poste perché c’è troppa gente e non ci va di aspettare.
Rinunciare ad un diritto già acquisito, in nome di un ragionamento falso e pericoloso.
I risultati delle elezioni a Sindaco di Milano e di Napoli ci hanno aperto gli occhi davanti ad una verità importante: forse la democrazia è fastidiosa perché permette a chiunque di esprimere la propria opinione, anche a chi la pensa in modo opposto al nostro, tuttavia solo esercitando correttamente le prerogative democratiche possiamo sperare in una politica dinamica.
Se la situazione attuale ci va stretta, se la classe politica disattende sempre più spesso il ruolo che è chiamata a ricoprire, la nostra risposta non può essere la rinuncia.
Allora cerchiamo, discutiamo, coinvolgiamo, arrabbiamoci e insultiamoci, perfino. L’importante è che torniamo a fare sentire la nostra voce, di animali, forse, ma animali politici.

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3 risposte a Là dove ‘l sì suona

  1. francesca scrive:

    Devo ancora riprendermi dal dramma del 1990. Non potevo ancora votare e assistei impotente alla sconfitta della battaglia contro la caccia, una di quelle a cui tengo di più da sempre.
    Ho sempre pensato che il non raggiungimento del quorum fosse una sconfitta per tutti. Già l’Italia è un paese pieno di gente non in grado di avere un’idea. Se poi si spinge ad andare al mare anche chi un’opinione, timidamente, potrebbe avercela…. addio.
    Comunque odio il mare, per cui anche stavolta andrò a votare!!!

    • Stefania scrive:

      vedi, sei già la seconda persona, coetanea, che recrimina proprio il referendum sulla caccia. Il momento in cui la gente ha cominciato a disertare i referendum ha coinciso con l’introduzione del maggioritario: il mio voto non vale più un cavolo nelle elezioni politiche ergo non vado manco più a votare per i referendum, tanto poi fanno quello che vogliono. Un amico mi ha suggerito anche un altro aspetto della vicenda referendaria: proporre quesiti troppo tecnici non invoglia le persone a partecipare. Ma come? Ti ho votato, tu hai un drappello di tecnici stipendiati e poi chiedi a me di deliberare su questioni specifiche? Ha ragione, ma certo anche in questo caso sempre meglio fare sentire la nostra voce. Speriamo che questa situazione porti a una maggiore consapevolezza dei nostri poteri costituzionali. ..

  2. francesca scrive:

    ah, per quello sono fiera di aver votato contro il maggioritario (nonostante la martelllante campagna che sosteneva che avrebbe dato tanta stabilità al paese)!! lo trovo altamente antidemocratico!!
    Comunque sono scettica sulla maggior consapevolezza del proprio potere…

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