A che servono gli dei?

A CHE SERVONO GLI DEI
SIAMO NOI LA TERRA COME IL CIELO
E LA PACE CHE NON C’È
OGNUNO DEVE COLTIVARLA IN SÈ

Così cantava Rossana Casale nel 1989, armonizzando un testo di Maurizio Fabrizio e Guido Morra. Questo refrain così swing e invitante sembra tornare prepotentemente di attualità, mentre ci ritroviamo fluttuanti fra le onde in tempesta di una società liquida sempre più in crisi di spiagge cui approdare…

La Casale solo di sfuggita faceva riferimento al rassicurante monoteismo nostrano, rimandando a più remote visioni olimpiche di consessi divini. Anche oggi il fascino della divinità antropomorfa non smette di riempire i riferimenti visivi e letterari dei nostri orizzonti di consumatori di cultura (a tutti i livelli). Agli dèi classici si sono sostituiti i supereroi, che, non a caso, impazzano nei cinema non solo estivi; in pratica una ricerca di sovrannaturale che arrivi finalmente – come quel gancio in mezzo al cielo di baglioniana memoria – a ristabilire un po’ d’ordine.

Proprio negli ultimi tempi, il primato classico sembra si sia riproposto all’immaginario collettivo italiano… in una cornice internazionale e grazie al nostro ineffabile Presidente del Consiglio

Ecco l’affresco intitolato “Il Parnaso”, opera di Andrea Appiani che decora il soffitto della sala da pranzo di Villa Reale a Milano. L’artista, convinto bonapartista della prima ora, si lascia guidare nella scelta iconografica dal grecista Luigi Lamberti e si confronta sullo stesso tema con due illustri predecessori:

Raffaello Sanzio (1510-11)

e Raphael Mengs (1761)

L’analisi di queste due opere ci porterebbe lontano, ci basti fare riferimento al fatto che già Mengs, nel concepire questo consesso divino, si era lasciato guidare dalla fervida cultura classica del Winckelmann e dalle suggestioni artistiche riemerse dai coevi scavi pompeiani ed ercolanesi. Le Muse che circondano Apollo nel panorama rupestre del monte Parnaso sono 9, come da canone classico, con l’aggiunta di una compagna di danza per Tersìcore.

E se nell’affresco di Raffaello si potevano scorgere il profilo di Dante e le orbite cave di Omero, ospiti di un’atmosfera sospesa, come solo l’arte riesce a creare, Mengs fa di più e meglio e immagina lo stesso Apollo con le fattezze del Cardinale Albani, suo mecenate e dunque ottimo candidato ad incarnare il patrono delle arti nella Grecia classica.

In Appiani l’esclusivo consesso non tollera intrusioni e, ad accompagnare Tersicore, si offre Melpomene, dopo aver deposto la maschera da Commedia sul prato dietro di lei; ma se nelle intenzioni dell’artista milanese erano mancati i riferimenti ad un preciso mecenate, ecco che Silvio Berlusconi non si lascia sfuggire l’opportunità di dare un nome al volto del divino Apollo: è Apicella, dal cognome assonante, che viene riconosciuto dal Premier, forse per lo strumento a corda. Così ecco che, in un batter d’occhio, una composizione neoclassica, riprodotta ed esposta a Villa Madama, in un contesto affatto lontano sia per cronologia che per funzione decorativa, acquista una nuova vita, grazie all’esigenza più umana: ricomporre la biblica affermazione “a immagine e somiglianza” e rispecchiarsi – perciò giustificarsi – nelle affascinanti, perché ignote, riunioni divine.

A Berlusconi, e quindi, per proprietà transitiva, anche a buona parte di chi legge avidamente le sue gesta (sia per avallarle che per denigrarle), piace particolarmente dare uno sguardo agli antichi boudoirs… e trarne suggestioni e suggerimenti per ammantare le serate di qualche tocco cul..turale. Così ecco che, tra le mirabolanti gesta “arcòree” spunta una statuetta del buon vecchio Priapo. Colpevole di un aspetto tanto esplicito quanto ridanciano, il piccoletto era una figura associata ad abbondanza e ricchezza prima ancora che a giochi erotici, forse per questo non si sarà trovato a disagio tra persone dalla rendita quanto meno imbarazzante, oggetto di compravendite poco pudiche.

Dunque ecco a noi i nostri dèi: le caste sacerdotesse delle sublimi Arti letterarie, della Poesia e della Musica, intese come strumenti di educazione di cittadini onesti, scambiate per sprovvedute etére in cerca di popolarità; un dio sgraziato ma foriero di prosperità (tanto che spesso, nell’iconografia classica, il suo lungo membro sorregge pesanti ceste di frutti e cibi, a volte bilance da mercato), ridotto a strumento di piacere, tanto ignoto quanto schifato – stando ad alcune testimonianze …dirette.

Una mitologia fraintesa, che chiede attenzione e rispetto…. Forse un aiuto in questo senso può arrivare proprio da dove meno ce lo aspetteremmo.. come ha indovinato quel geniale artista che è Corrado Guzzanti:da Aniene, di e con Corrado Guzzanti

Qui si ricompongono alcuni parametri essenziali: innanzitutto l’offerta (sarebbe stato più logico un galletto, ma la gallina ha qualità riconosciute da tutti), poi la collocazione in una nicchia nella parete di quello che si presenta come ambiente ipogeo.. decisamente più consono a vestigia di popoli antichi. L’invocazione agli dèi dell’Olimpo trae però in inganno, dal momento che subito dopo le singole divinità ritrovano i nomi latini… Ci lascia ancora una volta spiazzati la versione “velina” di Minerva, dea solitamente rivestita di armatura e in questo caso più desolatamente discinta…Per il resto, le parole del vicario di Cristo ci rivelano una importante verità: un vero e proprio patto che avrebbe non scalzato ma “coperto” i veri responsabili del destino dell’uomo. Allora è Eolo che dobbiamo pensare dietro alle catastrofi dello Tsunami (probabilmente in joint venture con Nettuno/Posidone), così come Cupido (o Eros) è il subdolo arciere che inquieta i cuori degli uomini, e probabilmente qualche notte di Giovanardi.

Ecco, in questo modo tutto può tornare, non è il Dio misericordioso dei Cristiani il responsabile del caos in cui si immerge la nostra società, non è Lui che rimane sordo alle preghiere, ma sono gli antichi dèi. Che da una parte ci suggeriscono modelli di comportamento estremi, dall’altra si divertono a tormentarci, ma il tutto attraverso eleganti pose neoclassiche.

Ci potremmo chiedere, a questo punto, come è possibile che, in una società così disperatamente alla ricerca di nuovi oracoli, non ci sia spazio per una corretta Rinascita del Paganesimo Antico, riappropriandosi dei luoghi e dei monumenti disseminati lungo la Penisola. Se è così profonda la fame di soprannaturale, perché non lasciarsi suggestionare dai santuari magnogreci, o ancora meglio dalle vestigia addormentate sotto le nostre città, che attendono solo il bacio appassionato o appaltante di qualche imprenditore onesto e di qualche Comune lungimirante?

In Sicilia, or non è poco, si è proceduto ad un’ennesima cattedrale nel deserto, un museo-gioiellino ad Aidone, in provincia di Enna, per accogliere, manco a farlo apposta, una statua di culto. Gli studiosi sono ormai d’accordo nel riconoscervi Demetra, dea venerata a Morgantina insieme alla figlia Kore, ma il marketing ha ancora una volta colto nel segno solleticando l’immaginario collettivo e rinominandola Venere (lontana dal vero nell’aspetto, troppo pudico, e nel nome, troppo latino). Questa operazione di valorizzazione del Bene Culturale è sembrata partire con il piede giusto… peccato che manchino le infrastrutture di base, dal trasporto pubblico al punto-ristoro!

Eppure, serve ancora qualcosa, una spinta in più, si direbbe, a queste divinità, tanto antiche ma anche tanto attuali… Lo stesso Guzzanti fa seguire lo sketch papalino da un esilarante dialogo tra un improbabile Odino/voce che squarcia le nubi e il figlio prediletto: Aniene, ovvero, la versione laziale dell’altoatesino Thor. A Pontida, domenica scorsa, abbiamo assistito ad altri tipi di paganesimo, più carnascialesco perché poco conosciuto al di fuori della linea immaginaria dell’altrettanto immaginata Padania.

Ma se ci guardiamo attorno, scopriamo che le divinità sono già tra noi, più decorate di un acrolito, meglio identificate della più oscura iconografia cultuale….

…può essere interessante riflettere sul fatto che questa statua, in un naiskos moderno all’aria aperta, si trova tra i padiglioni dell’ospedale Villa Sofia a Palermo.

Ecco, come diceva giustamente Guzzanti/Ratzinger, il monoteismo di facciata non ha saputo né potuto cancellare l’esigenza primaria di una divinità che sia quanto di più simile all’uomo, ma in grado di eliminarne la parte più vulnerabile.


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Una risposta a A che servono gli dei?

  1. trasloco scrive:

    Un post così ricco e interessante non mi era mai capitato di leggerlo: grazie di cuore per averlo scritto. E grazie anche per avermi fatto ricordare di quella canzone della Casale. 🙂

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