“I vestiti nuovi dell’Imperatore” (Copenhagen 1837-Firenze 2011)

Molti anni or sono, viveva un Imperatore, il quale dava tanta importanza alla bellezza ed alla novità dei vestiti, che spendeva per adornarsi la maggior parte de’ suoi danari. Non si curava de’ suoi soldati, non di teatri o di scampagnate, se non in quanto gli servissero di pretesto a far mostra di qualche nuovo vestito. Per ogni ora della giornata, aveva una foggia speciale, e, come degli altri re si dice ordinariamente: è al consiglio, – di lui si diceva sempre: è nello spogliatoio.

Nella grande città dov’egli dimorava, la vita era molto gaia, ed ogni giorno ci capitavano forestieri. Una volta ci vennero anche due bricconi, i quali si spacciarono per tessitori e raccontarono di saper tessere la più bella stoffa che si potesse vedere al mondo. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con tale stoffa avevano questa mirabile proprietà: ad ogni uomo inetto al proprio officio o più stupido di quanto sia lecito comunemente, essi rimanevano invisibili.

“Ah, questi sì, sarebbero vestiti magnifici!” – pensò l’Imperatore: “Quando li avessi indosso, verrei subito a sapere quali sono nel mio regno gli uomini inetti all’officio che coprono; e saprei subito distinguere i savii dagli stolti! Sì, sì; bisogna che mi faccia tessere questa stoffa.” E anticipò intanto ai due bricconi una buona somma di danaro, perchè potessero incominciare il lavoro.

Essi prepararono due telai, e fecero mostra di mettersi a lavorare; ma sui telai non avevano nulla di nulla. Nel domandare, però, non si peritavano: domandavano sempre le sete più preziose e l’oro più fino. E la roba, se la mettevano in tasca, e continuavano a lavorare ai telai vuoti, magari sino a notte inoltrata.

“Mi piacerebbe sapere a che punto sono col lavoro,” pensava l’Imperatore; ma l’angustiava un poco il fatto che chiunque fosse troppo sciocco od impari al proprio officio non avrebbe potuto vedere la stoffa. Sapeva bene che, per conto suo, non c’era di che crucciarsi, ma, in ogni modo, stimò più opportuno di mandare prima un altro a vedere come andasse la faccenda. In città, tutti oramai sapevano la meravigliosa proprietà della stoffa, ed ognuno era curioso di vedere sino a che punto giungesse la stupidità del suo vicino.

“Manderò dai tessitori il mio vecchio onesto Ministro,” – pensò l’Imperatore: “Può giudicare il lavoro meglio di qualunque altro, perchè ha ingegno e nessuno più di lui è adatto alla propria carica.”

E il buon vecchio Ministro andò nella sala dove i due mariuoli facevano mostra di lavorare dinanzi ai telai vuoti. “Dio mi assista!” – fece il vecchio Ministro, e sgranò tanto d’occhi: “Io non vedo nulla di nulla!” Ma però si guardò bene dal dirlo.

I due bricconi lo pregarono di farsi più presso: non era bello il disegno? e i colori non erano bene assortiti? – e accennavano qua e là, entro al telaio vuoto. Il povero Ministro non si stancava di spalancar tanto d’occhi, ma nulla riusciva a vedere, poi che nulla c’era. “Mio Dio!” – pensava: “Ma ch’io sia proprio stupido? Non l’ho mai creduto, ma questo, già, di se stesso nessuno lo crede. E se non fossi adatto a coprire la mia carica? No, no; non è davvero il caso d’andar a raccontare che non vedo la stoffa.”

“E così? Non dice nulla?” – domandò uno degli uomini, che stava al telaio.

“Oh, perfetto, magnifico, proprio magnifico!” – disse il vecchio Ministro, e guardò a traverso agli occhiali: “Che disegno, che colori!… Sì, dirò a Sua Maestà che il lavoro mi piace immensamente!”

“Oh, questo ci fa davvero tanto piacere!” dissero entrambi i tessitori; e indicavano i colori per nome, e additavano i particolari del disegno. Il vecchio Ministro stava bene attento, per poter dire le stesse cose quando fosse tornato con l’Imperatore; e così fece.

Intanto, i due bricconi domandavano dell’altro danaro, dell’altra seta, dell’altr’oro, tutto per adoprarlo nel tessuto, naturalmente. E tutto mettevano invece nelle proprie tasche; e sul telaio non ne andava nemmeno un filo; ma continuavano come prima a lavorare al telaio vuoto.

L’Imperatore mandò poco dopo un altro ottimo officiale dello Stato, affinchè gli riferisse sull’andamento del lavoro, e se mancasse poco alla fine. Ed accadde anche a lui precisamente quello ch’era accaduto al Ministro: guardava e guardava, e, poi che sul telaio vuoto nulla c’era, nulla riusciva a vedere.

“Non è vero che è un bel genere di stoffa?” – domandavano tutti e due i mariuoli; e mostravano e spiegavano le bellezze della stoffa che non c’era.

“E pure, io non sono sciocco!” – pensava l’officiale: “E allora, gli è che non sono adatto al mio alto officio. Sarebbe strana! In ogni modo, bisogna almeno non lasciarlo scorgere!” Per ciò, vantò la stoffa che non vedeva, e si dichiarò pienamente sodisfatto tanto dei bellissimi colori quanto dell’eccellente disegno. “È proprio stupendo!” – disse poi all’Imperatore.

E in città non si faceva che parlare di questa magnifica stoffa.

Poi l’Imperatore stesso volle esaminare il tessuto sin che stava ancora sul telaio. Accompagnato da tutto un seguito di eletti cortigiani, tra i quali si trovavano anche i due vecchi valentuomini, che primi vi erano andati, si recò da quei furbi mariuoli. Essi lavoravano ora con più lena che mai, ma sempre senza trama e senza filo.

“Non è vero che è proprio stupenda?” – dissero tutti e due i probi officiali: “Si degni la Maestà Vostra di osservare questo ornato, questi colori!” – ed accennavano al telaio vuoto, sempre credendo, ben inteso, che gli altri potessero vedere la stoffa.

“Che affare è questo?” – pensò l’Imperatore “Io non ci vedo nulla! Questa è grossa! Fossi mai per caso un grullo? O non fossi buono a far l’Imperatore? Sarebbe il peggio che mi potesse capitare…” – “Oh, è bellissimo!” – disse ad alta voce: “È proprio di mio pieno gradimento.” Ed approvò sodisfatto, esaminando il telaio vuoto; perchè non voleva confessare di non vedervi nulla. Tutto il seguito, che lo accompagnava, aveva un bell’aguzzare gli occhi: non riusciva a vedervi più che non vi avessero veduto gli altri; e però tutti dissero con l’Imperatore “Bellissimo! Magnifico!” – e gli consigliarono di indossare per la prima volta il vestito fatto con quella splendida stoffa nel corteo di gala, ch’egli doveva guidare alla prossima festa. “Splendido, magnifico, meraviglioso!” – si ripetè di bocca in bocca; e tutti se ne rallegrarono cordialmente. L’Imperatore concedette ai due bricconi il permesso di portare all’occhiello il nastrino di cavaliere, col titolo di Tessitori della Casa Imperiale.

Tutta la notte, che precedeva il giorno della festa, i due bricconi rimasero alzati a lavorare, ed accesero più di sedici candele. Tutti poterono vedere quanto s’affaccendassero a terminare i nuovi vestiti dell’Imperatore. Fecero mostra di levare la stoffa dal telaio; tagliarono l’aria con certe grosse forbici, cucirono con l’ago senza gugliata, ed alla fine dissero: “Ecco, i vestiti sono pronti.”

L’Imperatore stesso venne allora, con i più compiti cavalieri, e i due bricconi levavano il braccio in aria, come se reggessero qualche cosa, e dicevano: “Ecco i calzoni! Ecco la giubba! Ecco il mantello!” – e così via. “Son leggeri come ragnateli! Sembra di non portar nulla sul corpo! Ma questo è il loro maggior pregio!”

“Già!” – fecero tutti i cortigiani; ma niente riuscirono a vedere, poi che niente c’era.

“Si degni la Maestà Vostra di deporre i vestiti che indossa,” – dissero i furfanti: “e noi misureremo alla Maestà Vostra i nuovi, dinanzi a questo grande specchio.”

L’Imperatore si spogliò, e quei bricconi fecero come se gli indossassero, capo per capo, i vestiti nuovi, che dicevano d’aver preparati; e lo strinsero ai fianchi, fingendo di agganciargli qualche cosa, che doveva figurare lo strascico; e l’Imperatore si volgeva e si girava dinanzi allo specchio.

“Come gli tornano bene! Divinamente!” – esclamarono tutti: “Che ornati! Che colori! È proprio un vestito magnifico!”

“Fuori è pronto il baldacchino di gala, di sotto al quale la Maestà Vostra guiderà la processione!” – annunziò il Gran Cerimoniere.

“Eccomi all’ordine!” disse l’Imperatore. “Non mi sta bene?” – E si volse di nuovo allo specchio, perchè voleva fare come se esaminasse minuziosamente il proprio abbigliamento.

I paggi, i quali dovevano reggere lo strascico, camminavano chini a terra, come se tenessero realmente in mano un lembo di stoffa. Camminavano con le mani tese all’aria dinanzi a sè, perchè non osavano lasciar vedere di non averci nulla.

E così l’Imperatore si mise alla testa del corteo solenne, sotto il superbo baldacchino; e tutta la gente ch’era nelle strade e alle finestre, esclamava: “Mio Dio, come son fuor del comune i nuovi vestiti dell’Imperatore! Che stupendo strascico porta alla veste! Come tutto l’insieme gli torna bene!” Nessuno voleva dar a divedere che nulla scorgeva; altrimenti non sarebbe stato atto al proprio impiego, o sarebbe stato troppo sciocco. Nessuno dei vestiti imperiali aveva mai suscitato tanta ammirazione.

“Ma non ha niente in dosso!” – gridò a un tratto un bambinetto.

“Signore Iddio! sentite la voce dell’innocenza!” – esclamò il padre: e l’uno venne sussurrando all’altro quel che il piccino aveva detto.

“Non ha niente in dosso! C’è là un bambino piccino piccino, il quale dice che l’Imperatore non ha vestito indosso!”

“Non ha niente in dosso!” – gridò alla fine tutto il popolo.

L’Imperatore si rodeva, perchè anche a lui sembrava veramente che il popolo avesse ragione; ma pensava: “Qui non c’è scampo! Qui ne va del decoro della processione, se non si rimane imperterriti!” E prese un’andatura ancora più maestosa; ed i paggi continuarono a camminare chini, reggendo lo strascico che non c’era.


I vestiti nuovi dell’imperatore (o Gli abiti nuovi dell’imperatore) è una fiaba danese scritta da Hans Christian Andersen e pubblicata per la prima volta nel 1837 nel volume Eventyr, Fortalte for Børn (“Fiabe, raccontate per i bambini”). Il titolo originale è Keiserens Nye Klæder. La fonte da cui ha tratto ispirazione Andersen è una storia spagnola riportata da Don Juan Manuel (12821348), la XXXII dell’opera El Conde Lucanor.

Traduzione di Maria Perzé Pascolado (1903)

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