cultura non olet

Dunque, prendiamo un museo nazionale francese, disegnato da un’italiana da poco scomparsa, e un volenteroso volontario (l’allitterazione aiuta a renderlo ancora più simpatico) che accompagna una famigliola, per l’appunto non equipaggiata per una scelta squisitamente culturale.

Il volontario li porta a mangiare e poi nelle sale del Museo che, tra l’altro, deve alla genialità di Gae Aulenti anche la caratteristica di non avere vere e proprie sale, ma di respirare (occhio al verbo) l’arte attraverso gli ampi spazi di quella che un tempo fu una stazione ferroviaria (sì, sì, Hugo Cabret, d’accordo).

Va bene, la notizia è che, ad un certo punto, il quartetto si è visto avvicinare da una guardia del Museo con la richiesta di allontanarsi, perché alcune persone si erano lamentate della loro puzza… Cambiando settore del Museo, i 4 speravano di aver ovviato allo spiacevole incidente.. e invece 4 guardie (una per persona, si presume, peccato che il figlio della coppia abbia 10 anni) hanno ribadito il concetto, accompagnandoli all’uscita.

Ho utilizzato consapevolmente il termine “guardie“, perché il servizio d’ordine del d’Orsay ha ricamato sulla bella giacchetta un motto latino molto noto: Cave Canem.

Quasi a farci pensare che, invece di tutori di ordine abbiamo a che fare con dei cani, più o meno mastini, che potrebbero azzannarci, in ogni caso pronti a far valere gli ordini del padrone. Dunque quattro mastini si sono presi la briga di cacciare dei visitatori, mentre la giustificazione del d’Orsay è stata che la loro azione era volta ad evitare spiacevoli commenti rivolti dagli altri visitatori al gruppetto olezzante. Il Museo si è dissociato dalle modalità un po’ brusche, ma, pur nell’imbarazzo, ha ammesso che il tutto è stato fatto solo nell’interesse della famiglia.

Il cane, evidentemente, non voleva spaventarvi, ma in fondo c’è scritto “cave“.. vorrà pur dire qualcosa…

La notizia può far rabbrividire, può essere sgradevole, ci può far sospirare una volta di più contro i cugini d’Oltralpe.. ma è un po’ di più, è molto di più.

L’istituzione museale è da molti anni ormai un luogo di ricreazione, nel senso più completo del termine.

Nel Museo ormai possiamo bere, mangiare, guardare opere d’arte che non c’entrano nulla con quel Museo, in una forma di intercultura, a volte un po’ forzata. Possiamo lasciarci guidare da un’artista “totale”, che ci prende e ci immerge in una realtà parallela..

Possiamo giocare, portarci i bambini, portarci i nonni, ascoltare concerti o guardare dei film.. Perfino nel Bronx c’è una struttura chiamata Museo ma che in realtà ha solo una stanza adibita all’esposizione di reperti, il resto dell’edificio è diviso in sale per lezioni di ballo, spettacoli di teatro e questa è la sua dichiarazione di intenti

By providing an open forum for
discussion and experimentation,
the Education Department at the
Bronx Museum works as a catalyst
for ideas and dialogue
. We promote
engaging and transformational
art experiences with the goal of
connecting the viewer’s personal
experience with relevant areas in
contemporary culture
.

Ovviamente il Bronx è solo un esempio tra i tanti che potevo fare, ma salta all’occhio l’uso del termine Museo, quasi nell’accezione originaria che ad Alessandria aveva dato luogo al Mouseion, un complesso di edifici dove era esposto di tutto.. tranne le opere d’arte come noi le concepiamo: statue o mosaici o dipinti facevano parte, all’epoca, del tessuto architettonico urbano e del tessuto connettivo degli esseri umani. Ciò che si faceva nel Mouseion era partecipare alle lezioni di matematica, astronomia, anatomia; era studiare le opere letterarie più famose e conservarne la memoria; era comporre opere nuove, scoprire nuove formule, nuovi metri per la misurazione del mondo circostante. Il Museo è nato per comprendere, non per escludere.

Era il III sec. a.C., non un secolo da rimpiangere, per carità, ma eventi come quelli del d’Orsay ci devono spingere ad una riflessione, a metterci in guardia (CAVE!) da quel cane che è l’ignoranza, che ci fa regredire nel processo evolutivo…

Fin troppo facile sarebbe fare battute sull’intimo legame tra il d’Orsay e le fragranze griffate… o in generale tra i Transalpini e quella che, con un’immagine efficace e pertinente, definiamo “puzza sotto il naso”.

Ma la verità è che questa nostra società si sta rivelando incapace di fare i conti con la propria parte debole. Non è l’odore inteso come processo chimico, quanto l’odore psicologico, quel sentore della degenerazione che sta a poco a poco arrivando a lambire anche i luoghi che se ne credevano intonsi. Ieri sera il buon Crozza ha ripreso una delle ormai tante infelici uscite del reverendo Monti sull’immagine dei poveri resa attraverso quegli occhiali magici inforcati dal Professore: “abbiamo una terremotata povera”. Ecco, un’altra spia della difficoltà di confrontarsi con una categoria, fino a non riconoscerla del tutto, forse perché ormai questa categoria non si può etichettare bene come un tempo.

La prossima volta verremo a sapere di una distribuzione gratis di brioches? Magari da una finestra del d’Orsay, oppure da uno chalet di Cortina… BRIOSCHATA!

Qualunque cosa accada, non lasciamo che i Musei vengano travolti da questa degenerazione dei costumi civili. I baluardi della cultura resistono solo se la loro funzione è mantenuta, altrimenti sono gusci vuoti. Come sembra stia diventando il MAXXI a Roma, troppo occupato al cerchiobottismo per capire la differenza fra funzione pubblica e opportunità politica.

I Musei vanno salvati! Mai come in questo momento tale auspicio è vero e chiede di essere sostenuto da tutti noi. Ma non è una questione economica, non lo è mai stata, lo sappiamo bene proprio noi che con i Musei lavoriamo. E’ una questione morale, l’ennesima in un’età dell’incoscienza…

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Una risposta a cultura non olet

  1. Francesca scrive:

    Appunto, progettato dalla AULENTI, quindi anche i visitatori devono essere aulenti….

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