Non è bello ciò che è bello

Un giorno, non tanto tempo fa, un’amica mi disse, parlando del compagno che si era scelta, “Non ama il bello“, “Non gli piacciono le mostre, non gli va di andare, non ama le cose belle”.

Io rimasi molto perplessa, colpita dalla scelta dei termini: andare alla mostra equivale ad amare “il bello”? Ma quando mai?!

Mi faceva anche sorridere questa idea della cultura associata a un’idea di bellezza, estetica e anche morale, quasi etica. Eppure, il ragazzo in questione era una persona dignitosa e simpatica, impegnato nel suo lavoro, che svolgeva con deontologia cristallina.

Allora cosa voleva dire la mia amica? C’era qualcos’altro oltre il dispiacere di non poter condividere la passione per Impressionisti e Surrealisti con la persona che si era scelta “per la vita”?

Oggi quella persona (per la verità di concerto con l’amica suddetta) conciona a gran voce contro ogni tipo di immigrazione. Clandestina per definizione, deleteria per vocazione.

Beh, oggi capisco che, forse, sì, si potrebbe associare il rifiuto della mostra d’arte o dell’espressione canonicamente culturale con il rifiuto dell’altro.

Non è isolato tale atteggiamento, purtroppo… Da un lato si chiede più attenzione verso la scuola, “perché in giro c’è tanta ignoranza” e la gente “non sa più far di conto né scrivere”. Dall’altro si rivendica un isolamento, tetragono, verso l’apporto di gruppi etnici e/o culturali diversi. Anzi, chi rimane tra noi senza delinquere deve assuefarsi alla cultura cui è approdato.

Un ragionamento non dissimile l’ho ascoltato giorni fa a Radio Tre: un signore chiama e afferma orgoglioso il suo voto a destra, lamentandosi del fatto che la sinistra vuole privarlo della sua individualità. Nelle sue parole la “Sinistra” (miodio..la sinistra) diventa un modo di pensare collettivo, dove la persona è annullata dal gruppo, ci sono i centri sociali, le manifestazioni, i volemose bene, le scampagnate ecc.ecc. mentre la Destra (miodio…la destra) incarna il paradiso perduto: la piacevolezza di una cena a due, di un libro letto in solitudine, di una corsa in macchina senza provare sensi di colpa verso la collettività.

Inutile dire che io odio l’assembramento scomposto, rifuggo da iniziative troppo numerose, assumo un atteggiamento quasi snobistico ogni volta che leggo di una petizione… però..

Però, non ho paura.

Scelgo, in piena libertà. L’unica cosa che mi frena e mi impedisce il pieno godimento di un avvenimento corale è…l’ignoranza.

Allora torno a chiedermi.. ma la cultura.. dov’è? Quando arriva a “salvarmi”? Forse nella polka di settantenni sul patio assolato di una festa di paese? Quando invoco il nume tutelare Lévi Strauss e brandisco la macchina fotografica, pregustando già le feroci didascalie?

Oppure di fronte ad un Botticelli, nella sala più affollata degli Uffizi? Quando il brusio calpesta la conchiglia di Venere e sguardi strafatti di sonno e noia attraversano insensibili il vetro antiproiettile? O ancora in una manifestazione che non sa più cosa chiedere e si auto-immortala nelle cornici rettangolari dei telefonini?

Cosa definisco, io, cultura? Quale connessione ci può mai essere con la bellezza estetica, ma, ancora più importante, può, il rifiuto della “cultura”, condurre al rifiuto dell’altro da me?

La cultura è somma, l’ignoranza è sottrazione.

Nuove persone, nuove conoscenze, nuovi popoli che arrivano sono ricchezza. Chi vive a sbafo, chi commette un crimine è principalmente un ladro.

Queste sono banalissime verità, che un po’ di cultura mette sotto gli occhi di chiunque li voglia tenere aperti. E se il delinquente può assumere molte forme e chiamarsi in molti modi, l’ignorante è invece sempre uguale, solo che ha finito le scuse.

Allora, di nuovo, può la cultura espressa in una mostra o in un museo aiutare a non cadere nel baratro dell’ignoranza che esclude? In teoria sì, ma da questa splendida teoria non possiamo dedurre che TUTTE le mostre o TUTTI i musei hanno questo potere taumaturgico rispetto all’ignoranza.

Riflettendo su questi temi, mi sono ritrovata a pensare ad alcuni “oggetti d’arte” molto noti: se la mente di chi li osserva è aperta alla conoscenza (ommamma… ecco, forse, la definizione di cultura!), è possibile che queste opere d’arte comunichino proprio quella curiosità verso l’altro da sé e quella tolleranza verso il “diverso” e “nuovo” che poi, se adeguatamente aiutate dall’organizzazione della società civile, cancellano i pregiudizi, azzerano le ansie, modificano le aspettative…

La strada è lunga, ma se si comincia con il piede giusto.. forse.. perché no?

Questo gran bel pezzo di marmo (ex uno lapide… ma dici davvero, Plinio il Vecchio??) fa bella mostra di sé nel cortile del Belvedere ai Musei Vaticani. Chi lo ammira viene, mi auguro, scosso da mille e uno brividi, ognuno può gustare il particolare più interessante, l’espressione più pregnante..poi arriva una guida turistica e quelle impressioni personali si trasformano, sono “guidate” per l’appunto, verso altri sentieri: scopriamo la storia di Laocoonte e dei suoi figli e, soprattutto, ci proiettiamo subito dal mondo greco ellenistico alla Roma del 1506, quando la scoperta di questa statua creò scompiglio in un’altra anima, quella di Michelangelo. A questo punto la nostra fantasia viene di nuovo catturata dal nume tutelare dei Musei Vaticani e ci perdiamo nelle vicende michelangiolesche vecchie e nuove.

Ma solo poche guide turistiche, soprattutto quelle che si possono permettere un po’ più di tempo e non quelle spiegazioni-slogan che fanno tanto Giappone, sottolineeranno che questa statua magnifica è l’opera di tre immigrati .. all’incirca nel I sec. a.C. Tre scultori che ci hanno fatto la grazia di firmare la loro statua (!) e che venivano da Rodi, scappati dopo il sacco – romano – della città e approdati a Roma, in cerca di fortuna!

Se poi ci spostiamo a Firenze, possiamo vedere questoUna copia di Baccio Bandinelli, altra anima illuminata dalla forza espressiva di quest’opera d’arte. Dunque anche a Firenze possiamo riempirci di una bellezza che viene da lontano e che ha subito altri due passaggi: la copia e il restauro…avete notato il braccio di Laocoonte? Il buon Baccio Bandinelli integra così una mancanza che agli eruditi dell’epoca toglieva il sonno. Nella statua dei Vaticani, il braccio è quello voluto da Filippo Magi: nel 1905 era stato trovato, nel 1954 viene provata la pertinenza del pezzo alla statua dei maestri di Rodi e nel 1959 si arriva al restauro.

Quanti passaggi di mano (e braccia!), quanti apporti diversi, quante diverse storie che si sommano a quella principale, del sacerdote punito dagli déi: una versione del mito che Virgilio prende da Proclo (forse!) e che a Roma era stata riprodotta anche e soprattutto in piccoli affreschi. Insomma, di tutto di più, ma soprattutto, rispetto al discordo con cui ho cominciato: mito greco-orientale sommato a scultori di Rodi, shakerare e servire freddo.. a Roma.. ed ecco un cocktail esplosivo di luoghi, persone, popoli, ecc.ecc.

Rimaniamo agli Uffizi ed entriamo in una delle sale più affollate:

Venere, bella fin dalla nascita! Il quadro di Botticelli, protetto da oggetti contundenti indiscreti (ché quando prende la Sindrome di Stendhal.. non guarda in faccia a nessuno!), è ben più di un’opera d’arte, oggi. E’ icona, simbolo, slogan, trademark.. la bella Veny la ritroviamo riprodotta DAPPERTUTTO
e naturalmente ci sono mari, che dico, oceani di inchiostro e oggi anche di pixel e terabyte dedicati all’interpretazione più filologicamente corretta. Perché Sandro ha scelto questo soggetto, perché ha messo le rose, perché questi colori pastello, perché i due a mezz’aria sulla sinistra, perché quel vestito così rétro per la tipa a destra ecc.ecc. …

Però, soffermiamoci un secondo sul tema portante: la dea dell’amore che nasce dal mare e raggiunge la riva nella valva (o è la vulva??) di una Pecten Jacobaeus (oppure è una Cypria??). Già il buon Aby Warburg ha dato il via ai riconoscimenti iconografici: la postura della Venere è quella della Venere Medici che, guarda caso, conserva anche lei la firma di un fantomatico autore. Tale Kleomenes figlio di Apollodoros da Atene, per servirvi.

La presenza della conchiglia, invece, non è attestata presso autori antichi, Sandro l’avrà desunta da Poliziano, che, dal canto suo, dava maggior pepe all’inno omerico ad Afrodite. Eppure… in epoca ellenistica ci imbattiamo in piccole terrecotte: 

che arrivano, come questa del Louvre, dal Ponto … il luogo in cui viene esiliato Ovidio, autore dei Fasti che, probabilmente, hanno condizionato la lettura di Poliziano e, con uno splendido e rinascimentale effetto-domino, l’interpretazione di Botticelli …

Dunque, un’altra opera d’arte, che si offre a noi come uno di quei quadri tridimensionali che andavano tanto diversi anni fa, più o meno quelli da me impiegati per raggiungere la consapevolezza che oggi mi spinge a chiedere aiuto alla “cultura”. Proprio nel giugno di (ehm)iotto anni fa, mi preparavo all’esame di Etruscologia e contemporaneamente ultimavo un puzzle-tridimensionale. Mi ricordo ancora la sensazione provata al momento dell’agnizione, quando, cioè, riuscii a vedere il coniglio nascosto nella trama missoniana di verdi e blu: sembrava di poterci infilare il braccio e afferrare il coniglio per le orecchie!

Ecco, anche per questo motivo, è un bene che i quadri degli Uffizi (e non solo) abbiano il vetro davanti… cari custodi, siete avvisati!!

Infine, un esempio che mi sta particolarmente caro:Questo è Fra’ Angelico, Beato per gli amici. Di lui apprezzo tantissimo le rappresentazioni di diavoli che ha elaborato per.. le celle dei frati di San Marco! Secondo me bisogna avere uno spirito davvero acuto e un poco sadico per riempire le piccole e fredde celle con immagini raccapriccianti, dare a chi ha fatto voto di spiritualità, gli esempi più concreti del diavolo in terra.. è come se avesse passato loro dei fumetti: guardi i volti deformati e ti sembra di sentire odore di zolfo.. mi immagino i sogni dei fraticelli!

Ma, torniamo al nostro esempio. Qui si tratta di ben altro, di una Madonna in trono tra Santi. Una Maestà in amabile conversazione con i numi protettori della Chiesa di San Marco e soprattutto di Cosimo il Vecchio e suo padre Lorenzo e la famiglia Medici in toto. Infatti, i due personaggi inginocchiati di fronte alla Madonna sono nientepopodimenoché Cosma e Damiano, i due primi Medici Senza Frontiere della storia, presenti in questa pala d’altare in qualità di patroni della Famiglia de’Medici. Cosma è quello che si volta a guardare “al di fuori” del quadro, suo è infatti il ruolo centrale di protettore di Cosimo, mecenate e padre delle arti ecc.ecc.

Ma cosa rende questa tempera su tavola un’opera importante nella storia di Firenze? La decorazione “accessoria”: il tappeto anatolico e i motivi decorativi dei drappi alle spalle dei protagonisti. A parte un primo esempio importante in van Eyck nel 1436, il tappeto anatolico lo troviamo proprio ora (1440 ca) e proprio qui (Firenze).

Ebbene, il buon Angelico pare che sia stato ispirato dai drappi e dalle stoffe della delegazione della Chiesa d’Oriente che partecipò al Concilio del 1439:

Il 26 febbraio si tenne la seduta iniziale che dette l’avvio ai lavori. Le sessioni, tenute nella sala grande del Palatium Apostolicum di Santa Maria Novella, iniziarono il 2 marzo. Cosimo il Vecchio de’ Medici, il principale promotore privato e finanziatore del concilio, ottenne di poter presenziare alle sessioni.
Le trattative furono turbate il 10 giugno dall’improvvisa morte del patriarca Giuseppe, sepolto nella stessa chiesa di Santa Maria Novella, nel transetto destro. L’inaspettato e ‘quasi miracoloso’ ritrovamento di una lettera del patriarca nella sua camera salvò le sorti del concilio: nel testo Giuseppe si dichiarava favorevole alla riunificazione delle due chiese, accettava i precetti della chiesa latina, e riconosceva l’autorità suprema del pontefice di Roma
.

L’Oriente arriva a Firenze e lascia impronte damascate.

In realtà lascia anche una curiosità culinaria (fonte: Bargellini, sindaco-storico di Firenze): nell’assaggiare l’arrosto di maiale, i Papades esclamarono “Ottimo!” e tale nome, in greco, rimase al piatto toscano.. l’ARISTA!

Bene, direi che l’excursus è finito. Non sono stata esaustiva, altrimenti avrei dovuto scrivere un piccolo libro, ma spero di aver suscitato interesse, non solo nelle tre opere che ho scelto.

L’idea di fondo è proprio la curiosità: chi vuole visitare musei o mostre, chi vuole informarsi sulla storia del luogo in cui vive, chi si vuole lanciare in viaggi più o meno lontani e comprendere meglio la formazione di città e campagne, scoprirà che niente si crea in luoghi culturalmente “fermi” e chiusi. Solo sabbie (im)mobili.

Lo scambio è da sempre alla base dell’evoluzione. Se oggi accogliamo chi viene da un altro Paese, probabilmente stiamo dando aiuto a gente che non ha più nulla, né arte né parte, come si dice. Eppure, le tradizioni si mescolano, le conoscenze si comunicano: al netto della delinquenza comune, qualunque novità è innovativa. Per questo mi stranisco ancora quando sento parlare contro gli zingari… ci si lamenta dei furti.. beh.. ma è necessario essere zingari per rubare? Ciò di cui ci si lamenta è l'”atto”, il “crimine”, non occorre rimpiangere la parentesi nazista dei campi di sterminio. Allora, basta, suvvia, cominciamo, poco per volta, ad aprire la nostra mente, lasciamoci affondare nel quadro tridimensionale, cerchiamo di isolare gli elementi che compongono la somma… e navighiamo

sul mare color del vino, verso genti straniere

Odissea, I 184

p.s. Sulle vicende iconografiche del Laocoonte raccomando questo bellissimo articolo di Matteo Cadario:Cadario_Altri_Laocoonti_2007. Tra la bibliografia a riguardo: Salvatore Settis “Laocoonte, fama e stile” http://books.google.it/books?id=GAS8tXEVy2UC&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false

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2 risposte a Non è bello ciò che è bello

  1. Luca scrive:

    Quando sento la parola cultura… levo la sicura alla mia Browning.
    (attribuito a Joseph Goebbels )

  2. Francesca scrive:

    “Amare il bello” è una delle cose più senza senso che si possa dire.

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