Notturno #4

L’ultimo rintocco della mezzanotte è il momento in cui finalmente tutto quello che è accaduto durante la giornata comincia ad avere un senso.

Memorie dal Mediterraneo è una dichiarazione di intenti, più che il titolo di un blog, e forse è arrivato davvero il momento di ricordare in maniera più organizzata: chiedo a Chopin di ispirarmi e do inizio ad alcune brevi riflessioni, tra la mezzanotte e l’una.

Mito

Stasera vi offro Horowitz. Da piccola ascoltavo rapita mia madre parlarmi di lui: un pianista eccezionale, già molto anziano, che aveva un tocco sulla tastiera…impareggiabile. Forse perché le sua dita, anziché arcuarsi e imprimere una forza netta, decisa, restavano lunghe e distese, “piatte”, ed erano i polpastrelli a far scaturire dall’avorio e dall’ebano liscio quei suoni leggermente sporcati eppure perfetti.

Io, guardandolo in televisione, pensavo – sottovoce – che ricordava un poco il maggiordomo degli Aristogatti (!) Aveva un volto buffo, ma – a differenza del cinico maggiordomo – era sempre sorridente, sempre. Con lui la musica sembrava essere una compagna di giochi.

Ulisse

La mezzanotte sta per scoccare e io comincio ad ascoltare una conversazione: Edoardo Rialti, mio prezioso amico, dialoga con Tommaso Ragno. L’argomento è il Canto XXVI dell’Inferno della Divina Commedia; nel corso del Commento Collettivo, ideato e curato dalla rivista L’Indiscreto nelle persone di Francesco d’Isa e di Edoardo, Tommaso Ragno è chiamato a riflettere sul canto di Ulisse e Diomede.

Punti di vista

Ascolto il podcast di Edoardo e Tommaso Ragno e un poco sorrido: alcuni problemi di connessione creano dei momenti di silenzio di parole riempiti da un’eco di sonar, che cerca di ripristinare il ponte radio. E così, i due letterati, il critico e l’attore, come due personaggi di Dürrenmatt, si scambiano riflessioni sul mercante più astuto della storia greca, e lo fanno come se Tommaso Ragno fosse in collegamento da un sottomarino. Magari navigando sotto il mare color del vino, alla ricerca del senso più vero di un’idea archetipica: Ulisse.

Mentre ascolto gli scambi di ricordi e di emozioni legate alla figura dell’eroe di Itaca, penso al mio Ulisse e mi ritrovo a immaginarmelo su uno scoglio, a piangere: dietro di lui, in lontananza, la grotta di Calipso, con la ninfa seduta al telaio, a cantare. Ulisse invece è sulla riva e si commuove pensando che non c’è via di uscita, è condannato a rimanere su quell’isola, insieme alla ninfa e lontano da casa.

Anni dopo aver letto la scena per la prima volta, sono venuta a conoscenza della leggenda delle selkies, le creature marine che, stando alla tradizione scozzese, lasciano la loro pelle idrodinamica e diventano esseri umani, pronti a sposarsi con i pescatori o con le donne del villaggio più vicino. Una selkie può essere sia uomo che donna, una sorta di foca che si spoglia del tratto marino per indossare quello umano. Tuttavia, la nostalgia per la vita acquatica è molto forte e spinge le selkies a cercare la solitudine degli scogli per piangere di fronte al mare. Alcune non riescono a superare il dolore, indossano nuovamente la pelle di foca e si gettano in mare.

Mare

L’ora è fuggita, e io devo lasciare questo spazio notturno. Lo faccio con la nostalgia del mare: prendo la mia pelle di foca e mi reco sullo scoglio del mio inconscio. Sognerò probabilmente di alghe e salsedine, seguirò la scia luminosa che una luna immensa e bianchissima riflette sulla superficie increspata dell’acqua color velluto scuro.

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