“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 10

L’ombelico di un mondo

Esistono luoghi che hanno un’aura particolare. Con aura si può intendere un alone che circonda e caratterizza come “diverso da”, “benedetto”, “speciale”, oppure l’aura si riferisce alle vibrazioni che comunicano con il nostro io profondo, molto prima dei 5 sensi; esistono luoghi in cui ci si “sente” davvero, si avverte il nostro essere che si risveglia, perché riconosce di aver finalmente trovato la materia da cui ha avuto origine.

Delfi è uno di questi luoghi.

Può sembrare quasi forzato un collegamento tra il pensiero filosofico orientale, che individua nel serpente Kundalini l’energia dell’essere umano, acciambellata alla base della spina dorsale, e il mito fondativo del santuario di Apollo: l’uccisione di Pitò, l’enorme serpente, probabilmente femmina, dai poteri oracolari, che il dio dell’armonia e della perfezione punisce con una morte atroce. Pitò era infatti rea di aver inseguito Latò incinta, costringendola a rifugiarsi a Delo, l’isola errante, per partorire i temibili gemelli: Apollo e Artemide.

Statua frammentaria di Dioniso a Delfi

Ma il mito della fondazione dell’oracolo a Delfi è più complesso, articolato in tanti piccoli racconti, che spesso accennano alla presenza di un secondo dio a Delfi

La Pizia dava i responsi avvolta da fumi. Ma quei vapori venivano soltanto dalla spaccatura della terra sotto il tripode, o anche dal tripode stesso?

Sotto quel coperchio si erano mescolate sin dall’origine le carni dell’agnello, che le Tiadi, al seguito di Dioniso, smembravano là vicino, poco più in alto, sulle pendici del Parnaso. E le carni della tartaruga, separate dal guscio che Apollo usava per costruirci la lira e suonare, sempre sul Parnaso.

Nella pentola bollivano insieme Apollo e Dioniso.

                                                       Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia

La pietra detta omphalos, l’ombelico del mondo. Le decorazioni a rilievo si riferiscono alle bende con cui era avvolta e che corrispondevano alle preghiere al dio.

Quindi Delfi è il luogo dell’incontro di armonia e caos, di Yin e Yang, l’ombelico del mondo (come lo definirono le due aquile mandate da Zeus), dell’omphalos.

Chi giunge a Delfi da Atene deve percorrere una strada che, dopo Arachova, si snoda in molte curve, proprio questo andamento, che ricorda il corpo sinuoso del serpente, permette di scoprire la collina del santuario abbracciandola con lo sguardo sorpreso, dietro l’ennesima curva. Dalla collina grigia emergono le rovine di templi e monumenti sacri, dello stesso colore; come in una sorta di enorme puzzle in 3D si distinguono a poco a poco le colonne del tempio di Apollo e il teatro aperto a ventaglio.

Attratti da questa apparizione scenografica, non ci curiamo di volgere lo sguardo a sinistra, a valle della strada, dove aspettano pazienti altri ruderi antichi: la pista da corsa dello stadio e il tempio circolare di Atena Pronaia (cioè “davanti al tempio”), che quasi ammette una inferiorità di fronte al fratello, ma solo a Delfi.

Risalendo a piedi la collina del santuario è necessario affidarsi alla propria conoscenza e all’immaginazione, infatti dei vari piccoli thesauròi, i monumenti dedicati al dio dalle molte città greche del continente e d’oltremare, rimangono solo le fondazioni. Solo quello degli Ateniesi è ricostruito fino al tetto. Sembra quasi che la natura si sia reimpossessata del luogo sacro, forzando il visitatore a concentrarsi sull’aspetto spirituale, piuttosto che rimanere distratto dalle esibizioni di ricchezza e potenza ostentate nei secoli dai vari donari di marmo e bronzo.

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