Meraviglie. 2 – ritratto di famiglia

Sto lavorando a un progetto che mi entusiasma e di cui, spero, potrò presto annunciare la realizzazione. Nel frattempo, ho la buona sorte di spingermi in lunghi sopralluoghi tra strade e musei di Firenze, ed è proprio durante uno di questi che ho scoperto una meraviglia.

Ammetto la mia ignoranza: l’ultima visita accurata a Palazzo Pitti credo risalga a una ventina di anni fa! Ci sono tornata con occhio attento perché dovevo individuare soggetti prettamente mitologici. Complice una mia “fissazione” che da qualche anno stenta a diventare articolo, ma che guida sempre le mie visite a musei e palazzi antichi, mi sono ritrovata con il naso all’insù nella cosiddetta Sala dell’Iliade, ed ecco quel che ho visto…

Uno splendido ritratto di famiglia del consesso divino che Omero descrive nei particolari. Zeus li guarda accigliato e cerca di convincerli a non interferire nelle vicende di Troiani e Achei.

L’autore è Luigi Sabatelli, pittore e incisore formatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze a inizio ‘800 e divenuto pittore di corte di Maria Luisa di Borbone-Spagna, regina d’Etruria e di Lucca. In questo suo ruolo dipinge anche il soffitto di quella che diventerà famosa come “Sala dell’Iliade” e che raccoglie immagini legate alle premesse della guerra di Troia.

Dei vari personaggi, che con un leggero torcicollo è divertente individuare, mi ha colpito questo scuro individuo qui a destra. Dal cane stremito, accucciato ai suoi piedi, mi par di dedurre che si tratti di Ade. Sembra imbronciato, forse non stanno morendo abbastanza soldati? Accanto a lui ci sono tre donne dall’aria interessante e non sembra strano che sia accomodate accanto al Signore della morte

Ho trovato infatti un video molto interessante e suggestivo, proposto sul canale delle Gallerie degli Uffizi, che svela la loro identità.

Le Tre Parche, con un commento tratto da un carme di Catullo. Quanto tutto ciò è estremamente neoclassico!

Parlando di neoclassicismo, la visione di quell’affresco mi ha fatto tornare in mente un quadro che ho adorato e … frainteso! Si tratta di un celeberrimo dipinto di Ingres

Jean-Auguste Dominique Ingres, Jupiter et Théthis, 1811. Museo Granet di Aix-en-Provence. Immagine wikicommons https://en.wikipedia.org/wiki/Jupiter_and_Thetis#/media/File:J%C3%BApiter_y_Tetis,_por_Dominique_Ingres.jpg

Questa immagine dominava la copertina di un mio libro di mitologia classica e, da ragazza, ho sempre pensato si trattasse di Zeus e Hera. Ma poi mi sono informata meglio, ho capito a quale episodio si riferiva, e soprattutto ho saputo leggere la gestualità, il tocco del mento in un atteggiamento di supplica.

Ma intanto, seduto presso le rapide navi, il divino figlio di Peleo, Achille dai piedi veloci, persisteva nell’ira. Non si recava all’assemblea gloriosa, non andava alla guerra, e nell’inerzia si rodeva il cuore rimpiangendo il tumulto della battaglia. Quando sorse la dodicesima aurora dopo quel giorno, tornarono all’Olimpo gli dèi immortali, tornarono tutti insieme, Zeus li guidava. Ma Teti non dimenticò la preghiera del figlio; emerse dalle onde del mare e all’alba salì al vasto cielo d’Olimpo. Trovò il figlio di Crono dalla voce potente che sedeva in disparte sulla vetta più alta dell’Olimpo dalle molte cime; si inginocchiò davanti a lui, con una mano gli afferrò le ginocchia, con l’altra gli prese il mento e supplicando diceva a Zeus, il sovrano figlio di Crono: “Padre, se mai un tempo, con le parole o con i fatti, ti sono stata d’aiuto fra gli dèi immortali, esaudisci ora questo mio desiderio: rendi onore a mio figlio, che ha avuto in sorte un destino più breve degli altri (…)

Omero, Iliade, 1.487-505

Non è la moglie Hera che si rivolge al marito, sappiamo infatti che, nell’Iliade, i due o litigano oppure si appartano (un abile sotterfugio che fa tanto signoramia o sciura e che Hera adotta per distrarre il marito dalla battaglia…). Mentre Teti, la madre di Achille, corre a supplicare il padre degli dèi di aiutare il figlio a guadagnarsi la gloria che gli era stata promessa, in cambio di una vita breve.

Curiosamente, nell’informarmi sul pittore del soffitto palatino, ho letto che Ingres è uno dei suoi riferimenti artistici. Ma d’altronde Ingres è stato un punto fermo per molti degli autori neoclassici.

Ecco, la mia seconda meraviglia è un soffitto di dèi, colti in una istantanea che ne rivela a un tempo la potenza e la fragilità.

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Meraviglie. 1 – come un fiore di notte

Ho cominciato ad ascoltare l’ultima serie di podcast di Mary Beard dedicati al mondo romano: “Being Roman”, su Channel 4 BBC.

E mi sono imbattuta in un episodio che discute la figura di Regina, schiava e poi moglie di Barates, originario di Palmyra, in Siria. La coppia multietnica formata da un siriano e da una catuvellauna, cioè una donna di una tribù britanna, giunge alla ribalta della cronaca accademica grazie all’intensa epigrafe che Barates fa scolpire sulla tomba della moglie. L’epigrafe è stata trovata a fine ‘800 a South Shields, sul fiume Tyne e quindi non distante dall’estremo confine, dal Vallo adrianeo, ed è conservata al British Museum.

Nel podcast Mary Beard discute con altri studiosi di questa strana coppia, dove la prassi dell’acquisto di una schiava, della sua liberazione e poi del matrimonio, potrebbe essere uno di quei rari esempi di vero amore, oppure un modo come un altro per ribadire un possesso. Non potremo mai essere certi dei loro sentimenti, dato che, come al solito, abbiamo una sola campana a cui affidarci.

Ma tra gli studiosi intervistati mi ha colpito un poeta siriano, Nouri al Jarrah, che si è lasciato affascinare dalla storia e ha dato un volto e una storia ai due sposi, immaginandosi una storia d’amore completa e complessa. Così ha scritto “The Stone Serpent, Barates of Palmyra’s Elegy for Regina his Beloved – An Eastern Serenade

Nella elegia di Barates/Nouri c’è una frase che mi ha catturato: “se tu non fossi il fiore che si apre a mezzanotte…”

Il poeta siriano ha di certo in mente alcuni aromi che si fanno più intensi la notte, quei gelsomini che sembrano urlare insistenti la loro presenza sotto le stelle, nelle città del Sud e dell’Oriente. Ma il riferimento a un fiore che sboccia di notte mi ha fatto pensare a…

Uno degli scaffali del Museo Aboca di San Sepolcro

Sono tornata con la memoria a un weekend settembrino, trascorso tra Gubbio e San Sepolcro. In questa cittadina, che ha dato i natali a Piero della Francesca, abbiamo visitato una mostra nel piccolo museo Aboca: si tratta di un allestimento curato dall’omonima azienda che si occupa di prodotti farmaceutici a base vegetale e che nel palazzo Bourbon del Monte di San Sepolcro ha saputo ricreare la storia dell’uso delle piante medicinali dall’antichità all’età moderna.

La sala del museo con l’allestimento della mostra “I giardini lunari”

La mostra a cui mi riferisco si intitolava “I giardini lunari” e raccontava di alcuni fiori che sbocciano dopo il tramonto del sole, spargendo il loro aroma nella notte.

Tuttavia, accanto a gelsomini, caprifogli e fiori di luna, mi ha colpito il cereo notturno: si tratta di un fiore che sboccia solo per una notte, poi, all’alba, sfiorisce.

In un ambiente quasi sospeso, denso colori e immagini, con recipienti pieni di fiori e spezie, che riempivano occhi e narici, ecco che mi compare la visione di una notte aromatica e di un fiore che aspetta di non essere visto per schiudersi.

Sono certa che il poeta siriano pensava ai profumi persistenti, che ogni notte dilagano nell’aria calda delle città orientali, ma è suggestivo accostare la britanna Regina al cereo notturno, detto “regina della notte”.

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Il Canto di Ostia

Ebbene sì, dopo ben cinque anni siamo tornate a raccogliere pensieri e impressioni in giro per musei e siti archeologici italiani.

In effetti siamo tornate a Ostia Antica, complice il riallestimento del museo, e lo abbiamo fatto il 24 novembre del 2024. Ma, ahimé, questa volta i tempi della edizione dell’agile pdf con i racconti dei partecipanti si sono allungati assai…!

Così oggi, 24 marzo 2025, siamo contente di presentare un volumetto molto variopinto! Archeoracconto ha infatti raccolto una serie di suggestioni che spaziano dai primi secoli dell’impero fino a oggi, che coinvolgono esseri umani e gatti, che ci guidano attraverso le strade di Ostia Antica e negli sguardi di marmo dei suoi antichi abitanti, ma anche nei sorrisi di chi quelle strade e quei marmi li ha riportati alla luce.

Un bel Canto, non c’è che dire, e a voi non resta che…sfogliarlo qui:

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Dal tramonto all’alba

Blocco di arenaria scolpito con figura di agnello. Trovato nella chiesa più piccola del complesso di Santo Stefano a Um er-Rasas, nell’atrio meridionale. III o IV secolo d.C.

Dopo la mostra “senza immagini”, vi presento un’altra piccola esibizione temporanea, sempre a Roma, che invece sembra affidarsi molto all’effetto scenografico.

Si tratta di “Giordania, l’alba del Cristianesimo”, allestita al primo piano del Palazzo della Cancelleria a Roma e aperta fino al 28 febbraio.

Si tratta di una mostra voluta dall’Ente del Turismo giordano e dunque ben pubblicizzata, con una inaugurazione in cui è intervenuta la neo ministra del turismo e delle antichità del Regno Hashemita di Giordania Sua Eccellenza Lina Annab, la quale, dopo un breve discorso, ha brillantemente riassunto le motivazioni che rendono questa una mostra effettivamente imperdibile:

Ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide

Il riferimento era, naturalmente, diretto ai rapporti tra Giordania e Italia: da una parte un Paese mediorientale in cui il 92% della popolazione pratica la religione musulmana di confessione sunnita e il 6% si dichiara cristiano, dall’altra un Paese che è sede del patriarca della religione cristiana cattolica e che nel 2025 celebra il venticinquesimo giubileo universale nella storia della chiesa cattolica.

Giubilo

Lastra decorata nella cosiddetta “pietra di Mosè” o bitume. Balaustra del presbiterio trovata a Rujm Al Kursi.

La mostra del Palazzo della Cancelleria intende inserirsi nelle celebrazioni giubilari e indicare i luoghi cristiani della terra giordana, presentando circa 90 oggetti, ritrovati in vari luoghi giordani, che testimoniano la presenza cristiana fin dal III secolo. Ci sono poi alcuni anniversari che legano ancora più strettamente la Giordania e la Santa Sede: nel 2025, infatti, si celebrano 30 anni di relazioni diplomatiche e 60 anni dalla visita di Paolo VI ad Amman.

Pellegrini

Bottiglia di vetro a forma di pesce, ritrovata a Khirbat Yajuz. VI secolo d.C.

Grazie a Nadia Pasqual e ad Archeologia Viva ho avuto l’opportunità di partecipare all’inaugurazione e di aggirarmi con calma tra le vetrine dell’allestimento molto suggestivo, a cura, tra gli altri, di Saleem Janini (Direttore Creativo) e di Paolo Francesco Caponi (Architetto). La selezione del materiale e la cura del catalogo sono invece opera del dottor Eyad Al-Khzuz, il quale ha voluto far emergere la storia cristiana della Giordania, attraverso i cinque siti di pellegrinaggio riconosciuti dal Vaticano:
Tel Mar Elias, il luogo di nascita del profeta Elia.
Nostra Signora della Montagna, santuario che commemora la Vergine Maria.
Monte Nebo, ultimo luogo di riposo del profeta Mosè.
Macheronte, dove si racconta del martirio di Giovanni Battista.
Il sito del Battesimo di Gesù Cristo (Maghtas) sul fiume Giordano.

Parafrasando la ministra, è vero che siamo ormai “abituati a pensare a una topografia del Cristianesimo che segua le vicende di Santi e martiri in Europa, relegando la terra da cui tutto è originato come territorio arabo” e musulmano, eppure continuiamo a utilizzare il termine Terra Santa per indicare la terra compresa tra mar Mediterraneo e fiume Giordano e costellata di luoghi sacri alle tre principali religioni monoteistiche. Anche da un punto di vista di marketing turistico, siti come il Monte Nebo o Al-Maghtas/Betania (per non parlare di Gerusalemme), sono mete di viaggi dalla chiara ispirazione spirituale.

Mosaico con iscrizione in aramaico. Scoperto presso la chiesa inferiore del monastero di San Cyrianus, Wadi Mujib, nella zona del Monte Nebo. Il testo commemora le azioni di Cyrianus e di altri benefattori che finanziarono il restauro della chiesa. V-VI secolo d.C.

La mostra romana vuole fermare proprio i pellegrini “mordi e fuggi” e presentare loro un territorio molto più vasto dei soliti siti, dove la pratica quotidiana del Cristianesimo è testimoniata, nell’arco di tre-quattro secoli, da oggetti semplici, ritrovati anche in luoghi non celebri.

Ritorno alle origini

Nell’accostarmi alla concezione della mostra, mi sono ritrovata a fare una riflessione: il culto della Magna Mater e il culto di Mithra si sviluppano in età romana, ma hanno origini dichiaratamente orientali. Vale a dire che è possibile individuare luoghi persiani e anatolici in cui venivano venerate queste divinità, ma quando parliamo del culto della Magna Mater e del culto di Mithra, facciamo riferimento alle forme romane di questi culti, che nel contatto con la civiltà di Roma hanno acquisito la forma che li ha resi popolari e diffusi fino negli angoli più remoti dell’impero.

Croce metallica scoperta nella chiesa di Milachios, Macheronte. VI secolo d.C.

Ebbene, nel caso del Cristianesimo, altra religioni iniziatica mediorientale, la diffusione capillare attraverso l’impero non si è mai davvero allontanata dalla narrazione primigenia, quella del fiume Giordano, del deserto della Giudea, del palazzo di Erode Antipa, del lago di Tiberiade.

Ecco, dunque, comparire, uno dopo l’altro, i parafernalia del culto cristiano, perfettamente conservati e “funzionanti” tra i resti delle chiese e delle cittadine giordane: croci utilizzate come pendenti, incensieri, lucerne con simboli cristiani, capitelli e mosaici decorati con agnelli e pesci, balaustre di presbiteri dai motivi intrecciati di croci e losanghe.

Morire di giovedì

Stele di Milchis, prestito dal Museo nel punto più basso del mondo.

C’è poi una serie di monumenti che mi ha particolarmente commosso: si tratta di stele funerarie con brevi iscrizioni che indicano i nomi dei defunti, l’età, l’anno del decesso e il giorno della settimana. Un uso che, come riporta l’approfondimento nel catalogo, in Oriente andò spegnendosi intorno al VI secolo.

Monumento di Milchis, figlio di Massimo, che morì all’età di 55 anni, nell’anno 280, il quindicesimo del mese di Distro, nel giorno di Giove. Sii di buon umore, Milchis, nessuno è immortale.

Perché visitare la mostra?

Devo aggiungere, per onestà, che, a fronte di un grande impatto scenico, la mostra è un po’ carente da un punto di vista del supporto didattico, con molti errori di stampa, frasi troncate e qualche attribuzione non chiara.

Tuttavia penso che uno degli obiettivi raggiunti sia quello di suscitare una curiosità nuova nei confronti della Giordania e di invogliare il visitatore a progettare un viaggio per ritrovare una poesia spirituale che oggi è sicuramente difficile da ricreare. Se i riferimenti testuali nel catalogo sono esclusivamente legati ai vangeli, ciò che troviamo in mostra ci parla di Storia e di esperienze umane, sia quelle degli antichi abitanti giordani che quelle dei moderni archeologi e studiosi.

A questo proposito, mi piace ricordare l’opera della Missione Archeologica Italiana a Wadi Mousa, di cui ho scritto tempo fa qui.

E anche la presenza italiana in luoghi chiave del territorio cosiddetto della Terra Santa come gli scavi al Santo Sepolcro, vedete, per esempio, qui.

Dal tramonto all’alba ho voluto intitolare questa mia breve riflessione, perché la nostra società sembra non riuscire a sfuggire alla corsa inarrestabile verso le tenebre dell’odio e dell’ignoranza, perciò qualunque alba, anche quella di un culto misterico ormai non più al passo con i tempi, spero possa portare un po’ di quella luce della Storia di cui tutti noi sentiamo la mancanza.

Mosaico con pesce dalla cattedrale di Madaba, VI secolo d.C.

Dal 31 Gennaio 2025 al 28 Febbraio 2025

Ingresso gratuito e prenotazione obbligatoria sul sito

Sito ufficiale: http://www.mostragiordania.com

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