Questa è la cronaca di 3 giorni in Giordania, a Wadi Mousa, sotto la guida esperta di Chiara Marcotulli, di Archeosangallo, uno spin-off accademico dell’Università di Firenze. Un viaggio di scoperte e di emozioni che condivido con voi, segnalandovi che con i viaggi Azalai, questa opportunità è alla portata di tutti!
Da 30 anni, ormai, il Dipartimento SAGAS dell’Università di Firenze conduce scavi presso i castelli crociati di Petra, e da 20 a Shawbak, e quest’anno la missione si è trasferita in una nuova casa a Wadi Mousa, che dovrebbe diventare, secondo il disegno del prof. Guido Vannini, un centro aperto a studiosi di varie discipline archeologiche.
Per motivi logistici legati al trasloco, dunque, la campagna di scavo di quest’anno si è tenuta in estate (normalmente avviene in ottobre-novembre) e i componenti della missione archeologica mi hanno accolto con grande…ehm, calore!
Ho riassaporato le dinamiche della vita da scavo, con i ritmi del lavoro sul campo che devono necessariamente coordinarsi alla gestione delle necessità quotidiane (spesa, pulizie, economia domestica…).
Chiara, Elena, Raffaele, Lorenzo, Giacomo hanno tra loro la familiarità data dalla condivisione delle difficoltà quotidiane: sorrisi e occhi si illuminano quando ti raccontano la loro Giordania, i progressi delle indagini archeologiche e i rapporti con la comunità che li ha accolti tanti anni fa.
E poi c’è Elena Ronza: occhi verdi che ti avvolgono in un abbraccio e la naturale praticità di chi è abituato a risolvere problemi. Da qualche anno Elena ha avviato una cooperativa con sede nel villaggio beduino di Uum Sayhoun, costruito per alloggiare le famiglie che, tradizionalmente, vivevano dentro Petra, dove hanno mantenuto i loro negozi. Qui è nata: Sela for vocational training and protection of cultural heritage.
Il fine dichiarato della cooperativa è “fare formazione“, vale a dire istruire gli operai al lavoro negli scavi archeologici del territorio. In una cultura del bakshish, cioè della mancia allungata agli operai per garantire che i ritrovamenti più importanti non prendano il volo verso collezioni private o musei stranieri, l’iniziativa di Elena mira a fornire una preparazione tecnica ma anche storica e culturale: operai, sì, ma soprattutto cittadini giordani, coinvolti nella gestione dei beni culturali del proprio Paese.
L’anno scorso la cooperativa ha aperto anche una biblioteca per bambini, riscuotendo grande successo e assumendosi il compito, non meno ambizioso, di contrastare l’abbandono scolastico degli studenti beduini. In una società che non riesce ancora a integrarli, i ragazzi beduini sono spesso poco seguiti dagli insegnanti arabi.
Questo è poi il secondo anno in cui la cooperativa Sela, di concerto con Archeosangallo e con l’istituto Dante Alighieri di Amman, organizza laboratori per bambini. Quello che per noi è la normale attività di didattica, con rievocazioni e cacce al tesoro a tema, visite guidate da personaggi in costume, ecc. a Wadi Mousa e Shawbak è una novità che potrebbe aiutare i giovani giordani a riappropriarsi del loro passato e a ipotecare il proprio futuro.
In un contesto sociale che celebra i laureati con feste di paese e gigantografie affisse nel centro cittadino, la storia antica resta un mondo poco esplorato e spesso affidato all’iniziativa di istituzioni straniere. I Laboratori Archeologici Sangallo, e quindi l’Università di Firenze, insieme a Sela hanno dato vita a “Archaeosharing: le storie di tutti”, un progetto di collaborazione e condivisione, che dalle belle parole passa a fatti ancora più ricchi di entusiasmo.
Ascolto Chiara e mi emoziono con lei. Ogni tanto ci raggiunge il professore e anche dalle sue parole capisco quanto è stato investito in questa missione archeologica, in termini di speranze e desideri, non meno che in termini di conoscenza e studio. E poi ci sono i ragazzi, ognuno con i propri progetti, che partono da un frammento di ceramica, o dalla superficie traslucida di un vetro, o ancora dalla sala di un palazzo, che potrebbe rivelare collegamenti architettonici e culturali distanti chilometri, e infine da una ricognizione in quello che oggi ci appare deserto, ma che nasconde tracce di vite lontane. Per ognuno di loro Wadi Mousa è “casa”, nell’accezione più antica del termine: orgogliosi mi raccontano le loro storie attorno a un tavolo in plastica che, fino a qualche ora prima, era servito a stabilire le priorità nella campagna di scavo di questa calda estate giordana.
Un “mandi”, una grigliata sotto le stelle. La condivisione del pasto è da millenni un gesto di integrazione rituale e io sono grata a questa comunità di sognatori, che mi ha accolto e ha condiviso con me cibo e passioni.