Notturno #3

L’ultimo rintocco della mezzanotte è il momento in cui finalmente tutto quello che è accaduto durante la giornata comincia ad avere un senso.

Memorie dal Mediterraneo è una dichiarazione di intenti, più che il titolo di un blog, e forse è arrivato davvero il momento di ricordare in maniera più organizzata: chiedo a Chopin di ispirarmi e do inizio ad alcune brevi riflessioni, tra la mezzanotte e l’una.

Casa

Mi è difficile spiegare quali corde vengono toccate dall’ascolto dei notturni di Chopin. Immaginate una donna alta, magra, dai capelli che lambiscono le spalle e pettinati da una parte, biondo/castani. Lo sguardo concentrato, la bocca chiusa con le labbra strette, di tanto in tanto un lampo di rabbia negli occhi. Mentre le mani si muovono sulla tastiera e le pagine dello spartito vengono girate velocemente, perché tutta l’energia è concentrata nell’interpretazione.

Ecco, questa era mia mamma al pianoforte. E con questa immagine e il suono che ascoltate io sono cresciuta, tutta l’infanzia e l’adolescenza, e parte dell’età adulta. Perciò Chopin è quello che mi rimane, l’impronta di quegli anni fatti di dolore ma anche di immense gioie.

Un brano di musica classica, soprattutto Chopin, io lo abito come se fosse una stanza della casa della mia infanzia, la più accogliente.

Tempo

Negli anni delle medie mi capitò di dover scegliere un argomento per una tesina di educazione artistica: forse prefigurando gli interessi futuri, scelsi “la casa nel tempo”. Oggi sorrido di quel lavoro premonitore e penso a quante abitazioni antiche ho cercato di studiare e di scavare, negli anni dell’archeologia sul campo. In fondo, proprio questo è stato l’aspetto che mi ha sempre affascinato del mestiere, la possibilità di conoscere la vita quotidiana degli antichi. Perfino la religione l’ho sempre declinata al quotidiano, come quando mi imbarcai nello studio del culto di Iside in Grecia: arrivato per mare attraverso i canali dell’élite e approdato inizialmente nei sacelli privati, sotto forma di immaginette, e poi nei templi del dio guaritore – Asclepio – dove il contatto con le fasce più modeste della popolazione era inevitabile, anzi auspicabile.

Tempio

Forse i santuari che mi interessano di più sono quelli che mantengono chiara la loro struttura di base: una ierà oikia (casa sacra) che resta come sacello e attorno alla quale si sviluppa il resto del santuario. In fondo, costruire un tempio significa invitare il dio a risiedere in mezzo a noi.

Eroi

A proposito di questo argomento, mi torna in mente un luogo davvero magnifico: una casa di età geometrica, a Lefkandì (isola di Eubea, Grecia), dove gli archeologi hanno trovato due sepolture sotto il pavimento al centro della casa, la porta sigillata, e un cimitero piuttosto ben nutrito, formatosi di fronte alla porta sigillata. Tra i tanti articoli che vi potrei indicare ho scelto questo: https://www.storiaromanaebizantina.it/il-sito-di-lefkandi/ (non chiedetemi perché compaia in un sito sulla storia romana e bizantina…).

Il fascino del c.d. heroon di Lefkandì consiste proprio nella sua semplicità: non si tratta di un tempio imponente, né di un edificio eretto su un luogo scenografico, ma di una casa, probabilmente appartenuta alla famiglia più eminente della comunità, che diviene luogo sacro, al punto da orientare la sepoltura degli altri abitanti. In pochi metri troviamo la quintessenza del concetto di “comunità” e io, al solito, sguazzo in questa umanità alle prove generali.

Trillo

Anche Chopin indulge nei trilli, che però nelle sue partiture a me suonano un po’ troppo vezzosi: interrompono la sequenza di note malinconiche. Il mio “trillo” di oggi è stata una serata diversa da quelle degli ultimi 3 mesi: passeggiata in amicizia lungo l’Arno e cena alla Festa del Mugello! Questa sera la luce fiorentina disegnava ombre anche dove non potevano esserci, dava profondità anche alle pozzanghere e scolpiva le nuvole lasciandoci senza fiato e con un largo sorriso – sotto le mascherine.

Rubinstein continua a suonare e lo scopro incredibilmente simile alla bionda signora che metteva ogni fibra del suo corpo e del suo cuore nell’interpretazione del compositore polacco.

Stasera forse mi servono davvero i trilli, per distendere i nervi accavallati dalle settimane di tensione. Mi immagino una elfica arpista che giochi con i miei nervi, sussurrando parole nella lingua segreta e districando le corde dell’emotività. La stanza si riempie di nobiltà decaduta e di camerieri in livrea che offrono liquidi liquorosi in bicchieri dai nomi francesi. Chopin è seduto al pianoforte ed esegue la sua ultima composizione: gli occhi concentrati sullo spartito, le labbra chiuse in un accenno di smorfia arrabbiata, la mano che gira le pagine è la stessa che ogni tanto sistema nervosa il ciuffo.

Io lo guardo e penso a quella signora biondo/castana seduta nella grande sala.

Chopin plays piano in Radziwiłł’s Berlin salon at Palais Radziwill (Henryk Siemiradzki, 1887)
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